Open Dialogue: Ascoltare Davvero per Curare Insieme
- Roberta Paradisi
- 25 lug
- Tempo di lettura: 2 min

Ci sono momenti in cui, nel lavoro clinico e nella vita, mi torna una riflessione ricorrente: quanto sarebbe diverso il nostro modo di prenderci cura del disagio psichico se davvero ascoltassimo tutti i punti di vista, in orizzontale, senza gerarchie? Se il malessere non fosse visto solo come un problema dell’individuo, ma come un’esperienza che riguarda anche le relazioni, la famiglia, il contesto, la società?
Queste sono proprio le basi dell’approccio dell’Open Dialogue, nato in Finlandia (Seikkula et al., 2006), che propone un modo radicalmente nuovo (e umano) di stare accanto a chi soffre: creare spazi di dialogo aperti, in cui non si cerca subito una diagnosi o una soluzione, ma si costruisce insieme un senso.
L’idea centrale è che nessuno venga lasciato solo: alle riunioni partecipano la persona in crisi, i suoi familiari, amici, operatori sanitari, tutti seduti allo stesso livello, ognuno con diritto di parola e ascolto. Il linguaggio cambia: non si parla sulla persona, ma con la persona. Le voci multiple non sono confusione, ma risorsa.
Personalmente, sento che questo approccio parla anche al nostro bisogno di una cura più etica, più partecipata, più lenta, dove il terapeuta non ha tutte le risposte, ma costruisce significati con gli altri. E questo richiede coraggio, pazienza, ma anche fiducia.
In un’epoca in cui si cerca spesso di semplificare il disagio riducendolo a un sintomo, Open Dialogue ci ricorda che la sofferenza psichica è anche sociale, relazionale, dialogica.
Ed è in questi legami che può trovare ascolto e trasformazione.
Riferimenti:
- Seikkula, J., Alakare, B., & Aaltonen, J. (2006). Open Dialogue in psychosis I: An introduction and case illustration.
- Olson, M., Seikkula, J., & Ziedonis, D. (2014). The key elements of dialogic practice in Open Dialogue.
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